Se vi trovate di fronte un bambino piccolo alle prese con un compito per lui impegnativo ma non impossibile – infilare un pantalone, costruire una torre, salire su un rialzo -, se vedete il bambino in difficoltà ma che comunque pervicacemente insiste, che fate? Intervenite per aiutarlo? Infilandogli il pantalone o mettendo un pezzo della torre o sollevandolo per salire sul rialzo, per esempio?
Se vi trovate con due bambini che litigano, urlano, cominciano ad azzuffarsi, anche se senza farsi male, cosa fate? Intervenite per dividerli, rimproverare chi ha torto, spiegare che non si alzano le mani e dirimere la controversia?
Immagino che la maggioraparte di noi risponda di si.
Perché, mi chiedo? Perché ci viene così spontaneo accorrere in aiuto?
Forse rischiando di banalizzare, risponderei: perché se no che ci stiamo a fare? Se nostro figlio è in diffcoltà e ce ne accorgiamo, è nostro compito aiutarlo e cavarlo di impaccio. Se diventano aggressivi, è nostro compito impedirlo e insegnare ai nostri figli i valori morali fondamentali: non essere violenti, risolvere i conflitti in base a criteri di equità e giustizia.
Se stessimo lì a guardare in cosa consisterebbe il nostro ruolo di adulti ed educatori?
Ma di cosa ha bisogno un bambino nelle situazioni che ho ipotizzato?
Il primo bambino sta facendo vari esperimenti e sforzi per acquisire una competenza adeguata alla sua età. Ha bisogno di concentrazione, di fare molti tentativi, molti errori, di non riuscire, di arrabbiarsi (forse) e di aver voglia di riprovare. Ha bisogno di essere incoraggiato e di essere consolato e tranquillizzato se si arrabbia. Ha bisogno di essere felice quando ci riesce e di sentirsi importante. Ha bisogno di essere visto quando ci riesce. Ha bisogno di riprovare per capire che davvero lo sa fare. Ha bisogno di perdere interesse per quella cosa che ormai sa fare così bene e trovare una nuova cosa difficile da provare.
I bambini che litigano hanno bisogno di litigare. Hanno bisogno di arrabbiarsi (anche loro), di urlare, di affermarsi, di competere, di sperimentare l’aggressività, di difendersi, di testare la forza, fisica e relazionale, hanno bisogno di dominare e di essere dominati in modo alterno. Hanno bisogno di capire come fare la pace. Hanno bisogno di scoprire che ci si vuole bene anche se si litiga. Anzi che si può litigare proprio perché ci si vuole bene.
Noi abbiamo bisogno di intervenire, perché abbiamo bisogno di avere un ruolo educativo, perché abbiamo bisogno di vedere nostro figlio che riesce in un compito, perché è molto faticoso gestire la sua eventuale rabbia e frustrazione. Perché dobbiamo essere sicuri che non si facciano male litigando, perché vogliamo trasmettere loro i nostri valori.
Ma questi sono i nostri bisogni non i loro.
Dovremmo ignorarli dunque? Lasciarli a sé stessi, ai loro tentativi più o meno frustranti, alle loro liti più o meno aspre?
Io credo che il nostro ruolo – fondamentale, difficilissimo e ineludibile – sia esserci. E che nostro figlio sappia che ci siamo. Essere lì, attenti e osservatori. Per incoraggiare, per assistere alla riuscita o per consolare del fallimento, per gioire dei successi.
Per scoprire che i bambini sanno fare pace e trovare soluzioni migliori e più durature di quelle che proponiamo noi, per evitare che la situazione degeneri, per consolare lo sconfitto, per rassicurare il perdente, per sdrammatizzare il dramma.
Ovviamente ciò può verificarsi solo se lo sforzo non è impossibile, se non ci sono rischi oggettivi per l’incolumità, se la lite non degenera in violenza, ossia solo quando non vi sia un pericolo.
Quindi ci troviamo di fronte ad un compito molto difficile: valutare di volta in volta se il nostro intervento è necessario o superfluo, o addirittura dannoso, ossia se risponde al bisogno del bambino.
Per fare questo dobbiamo essere presenti, attenti, lucidi, in sintonia col bambino. Pur occupandoci delle nostre cose, possiamo valutare cosa è più utile in quel momento. Scopriremo che spesso la cosa più utile è proprio continuare ad occuparci delle nostre cose.
Articolo tratto dal sito “lartedieducare.blogspot.com”, scritto da Silvia Trombetta, datato 11 giugno 2018.