Articolo tratto dal sito www.magazine.centrodivenire.net di Francesco Panzeri del 22 Agosto
“Come faccio a farmi ubbidire da mio figlio?”: è questa la domanda che più spesso mi pongono i genitori che incontro nel mio lavoro di psicologo dei bambini , e che si accompagna nelle mamme e nei papà di oggi ad un lancinante sentimento di fatica e frustrazione. Credo che tale frustrazione origini dall’ambivalenza che molti genitori avvertono tra la consapevolezza che dare limiti e regole ai propri figli sia fondamentale per la loro crescita, ed il timore che questi stessi limiti e regole siano per i piccoli una forma di frustrazione insanabile, una ferita dannosa e limitante per l’affermazione di sé e dell’autonomia da parte dei bimbi. Vediamo così bambini che scelgono autonomamente l’orario in cui andare a letto, o in cui consumare i pasti, che ordinano alle proprie mamme e nonne qualunque tipo di cibo come se fossero clienti di un ristorante pluristellato, dove vige la regola imperante che il cliente ha sempre ragione. Mi sorprendo a ripensare al racconto che recentemente ha condiviso con me il nonno di un bimbo di sette anni, il quale alle dieci del mattino pretendeva che gli venisse cucinata della pasta al forno.
I bambini diventano così dei piccoli imperatori, i quali impongono alla propria corte di sudditi ritmi, tempi e contenuti della giornata. Nonni, zii e genitori, per il timore di deludere i propri bambini, di frustrare i loro desideri o di essere considerati degli adulti poco amorevoli, spesso cedono ed accontentano, con il rischio di alimentare nel bambino un vissuto di onnipotenza che non è ancora pronto a gestire e che comporta non pochi rischi per lo sviluppo della sua personalità. Crescere con un buon sistema di ritmi e regole trasmessi dall’adulto aiuta il bambino a percepire il mondo come maggiormente prevedibile e dunque rassicurante, meno fonte di imprevisti che lo fanno sentire il balia di sé stesso. Tale sentimento di fiducia e sicurezza aiuta i bambini a diventare adulti sereni, adeguatamente socievoli, capaci di camminare nel mondo con sicurezza e stabilità, proprio in quanto le loro prime esperienze sono state caratterizzate dalla presenza di un ambiente in grado di prendersi cura di loro, aiutandoli a contenere e regolare le proprie emozioni e pulsioni quando ancora non erano in grado di farlo. Se ciò non accade il bambino, spinto dall’ansia e dall’angoscia, si sente costretto a darsi da sé un contenimento, e lo fa spesso diventando onnipotente e tirannico, sviluppando disturbi comportamentali che altro scopo non hanno se non quello di tenere a bada e dominare un ambiente che gli appare imprevedibile, e che non si mostra in grado di trasmettergli il giusto confine. Per promuovere però uno sviluppo realmente sano, occorre che la condivisione delle regole con il bambino avvenga in modo autorevole e non autoritario, ovvero sia sempre ben bilanciata e miscelata con la disponibilità dell’adulto a sintonizzarsi ed immedesimarsi con le emozioni del piccolo.
Tali dinamiche educative e relazionali paiono confermate anche dai recenti dati che ci provengono dalle neuroscienze, i quali confermano come i genitori, attraverso il loro compito educativo, sono in grado di modificare il cervello del proprio bambino. Grazie alla diagnostica per immagini, è stato possibile infatti osservare come nei bambini i cui genitori riescono ad accompagnare il riconoscimento e l’accoglimento delle emozioni ad un sistema di regole stabile e coerente, il cervello funziona meglio, producendo in maggior quantità ormoni quali l’ossitocina, la dopamina e la serotonina, definiti non a caso gli ormoni della calma e del benessere in quanto capaci di rendere i bimbi tranquilli e sereni. Mentre nei bambini che non sperimentano una buona miscela di regole e sintonizzazione, si accendono con maggior frequenza i lobi frontali del cervello, i quali producono il cortisolo, l’ormone dello stress e dell’ansia, ormai riconosciuto come una delle cause dell’iperattività, disturbo che oggi si comporta come una vera e propria epidemia in età scolare.
Siamo ancora sicuri dunque che per rendere maggiormente sereni, socievoli e sicuri di sé i nostri piccoli non sia necessario farli scendere almeno un po’ da quel trono e rango da imperatori cui la nostra cultura ormai da diversi anni li ha elevati, lasciandogli non solo onori, ma anche soprattutto oneri che li fanno sentire in balia di se stessi?