Area Educativa

Disturbi alimentari: la prevenzione inizia dall’infanzia

Una serena e corretta relazione con il cibo è importante per la salute psicofisica. Come favorirla? Ne parliamo con un esperto

L’obiettivo di costruire, fin dall’infanzia, un rapporto sereno e positivo con il cibo e con i pasti è particolarmente importante, poiché contribuisce in modo sostanziale allo stato di salute generale. L’alimentazione – lo sappiamo bene – non è solo l’atto di introdurre nel nostro corpo la “benzina” necessaria per svolgere tutte le azioni quotidiane: questo gesto fondamentale sul piano fisiologico, infatti, si carica anche di significati psicologici, relazionali e simbolici che hanno un ruolo fondamentale per il benessere psicofisico della persona in tutti i periodi della sua vita.

 

I disturbi alimentari come rivelatori di altri disagi

Non è un caso se molte fasi difficili (per il singolo o per una comunità) si accompagnano a un aumento dei problemi nell’alimentazione, che talvolta sfociano nei disturbi del comportamento alimentare (DCA) propriamente detti. Le cronache, infatti, hanno riportato un aumento di richieste d’aiuto per DCA nelle diverse fasi dell’emergenza pandemica, anche con riferimento all’età infantile e adolescenziale, così come sono aumentati segnali di disagio psicologico di altro tipo.

La prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare è una strada lunga e fatta di piccoli passi, che devono consolidare nel tempo abitudini positive e decostruire miti ingannevoli e dannosi relativi al cibo, al corpo e all’immagine corporea.

L’educazione alimentare

Per esempio, un aiuto importante può venire dall’educazione alimentare, soprattutto quando la si affronta non da un punto di vista meramente informativo, ma ad ampio respiro, tenendo in considerazione le diverse dimensioni ‒ fisica, psicologica, umana ‒ della persona.

Ne abbiamo parlato con Riccardo Di Deonutrizionista e comunicatore della scienza, nonché coordinatore dei laboratori didattici per la Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, che si rivolgono anche a bambine e bambini della scuola dell’infanzia e primaria, oltre che ai genitori e agli educatori.

Sottolinea Di Deo: «La strada verso la costruzione di un rapporto positivo di bambine e bambini con il cibo non può escludere chiaramente il lato informativo, cioè spiegare e raccontare loro che cosa significhi alimentarsi in modo sano, assumere nella giusta proporzione i diversi nutrienti e quale sia la frequenza e la quantità giusta in cui assumerli. Ma pensare di ridurre l’educazione alimentare a questo sarebbe un grave errore. Si tratta, infatti, di una piccola parte di un grosso lavoro che deve essere gestito da diversi punti di vista e nel quale le figure educative svolgono un ruolo essenziale».

L’importanza dei primi 10 anni

Continua l’esperto: «Sappiamo da lungo tempo che il rapporto con il cibo e la sua natura più o meno positiva si consolidano nel corso dei primi 10 anni di vita (e una fase cruciale è quella dei primi mille giorni), che faranno sentire la propria influenza durante tutti gli anni successivi. Proprio per questo, oltre a bambini e bambine, devono essere accompagnati nella formazione anche i genitori e le scuole».

Quali sono gli errori più comuni, in tal senso? «Per esempio, – sottolinea Di Deo – quello di pensare che l’educazione alimentare possa passare attraverso l’imposizione dei cibi. Si tratta di un metodo che non può funzionare, perché ciò che è imposto viene automaticamente percepito come meno desiderabile e questa impressione si consolida e tende a rimanere nel tempo e porterà a evitare gli alimenti “calati dall’alto” non appena si avrà la possibilità di sottrarsi al controllo. Il risultato è proprio l’opposto del rapporto positivo con i cibi che si desidererebbe costruire».

Dare l’esempio

Allora come procedere? «Un ottimo punto di partenza per le figure educative è cercare di porsi come guida “indiretta”, tramite l’esempio. Piuttosto che imporre, proviamo a far vedere, attraverso il nostro modo di alimentarci, come può essere piacevole accostarsi a diversi tipi di cibi e assaporarne il gusto e la consistenza. Si tratta di un approccio certamente più efficace della “predica” e, soprattutto, che non carica l’atto di alimentarsi di una serie di sovrastrutture negative, come l’ansia o il giudizio al quale ci si sente sottoposti. I disturbi del comportamento alimentare trovano terreno fertile all’interno di queste dinamiche ansiogene».

No alla denigrazione corporea e alla grassofobia

Attenzione, poi, ad alcuni corollari negativi culturalmente e socialmente legati all’alimentazione e potenzialmente molto dannosi per il benessere fisico e psicologico dei bambini e degli adolescenti. Aggiunge Di Deo: «Il contesto che ruota intorno al cibo è spesso “tossico”. Può sembrare un’espressione un po’ forte, ma descrive in modo appropriato la realtà. Alimentazione e forma fisica sono strettamente legate, così come alimentazione e buona salute, ma questo non può giustificare l’ossessiva attenzione che la nostra società riserva all’aspetto del corpo, alla maggiore o minore magrezza, oppure lo stigma fortissimo che grava sulle persone in sovrappeso o in stato di obesità. Le ricerche dimostrano che la preoccupazione nei riguardi dell’aspetto fisico e del grasso corporeo è frequente anche in età infantile, oltre che adolescenziale».

Quali sono le conseguenze dello stigma? Sottolinea l’esperto: «Sicuramente nessuna forma di denigrazione corporea ha mai effetti positivi né sulla salute né sul conseguimento di un corretto stile alimentare. La grassofobia (in inglese si parla di fat shaming) porta, semmai, a chiudersi, e alimenta le dinamiche che consolidano i disturbi del comportamento alimentare. Il disagio psicologico non è affatto, come molti ritengono, di stimolo verso l’acquisizione di abitudini corrette. Un atteggiamento di questo tipo, che fa leva sul senso di colpa relativo all’aspetto fisico, può avere conseguenze devastanti soprattutto in età evolutiva».

È bene sottolinearlo con forza, perché purtroppo si tratta di atteggiamenti molto frequenti, frutto del contesto culturale in cui si è cresciuti, che esercita la sua influenza anche quando non ne siamo pienamente consapevoli. Capita a molti educatori e genitori di mostrare atteggiamenti grassofobici o di denigrazione corporea in buona fede, solo perché si riproducono comportamenti interiorizzati nel corso del tempo e perché non si è riflettuto abbastanza sui messaggi che così vengono veicolati. Purtroppo anche i commenti in buona fede possono ferire e creare un terreno di coltura favorevole per il consolidarsi di un problema con la propria immagine corporea e l’autostima.

Abitudini sane per tutta la famiglia

«Questo – rimarca Di Deo – non vuol dire affatto non prestare la dovuta attenzione al problema dell’obesità, che è frequente anche nell’infanzia, ma affrontarlo in modo diverso e molto più efficace». Come, quindi? «Anche in questo caso l’approccio indiretto, che passa attraverso l’esempio, è la strada migliore. Educhiamo bambine e bambini ai cibi sani proponendoli nell’alimentazione di tutta la famigliaCreiamo l’abitudine a fare movimento inserendola nella routine quotidiana di tutti, adulti e piccini, come normale esigenza di benessere, focalizzandosi sul piacere collegato al mangiare bene e al muoversi. Accompagniamo nella crescita bambini e bambine, ragazzi e ragazze creando intorno a loro un ambiente favorevole allo sviluppo e, soprattutto, sereno».

Evitare le demonizzazioni e i cibi-premio

Alcuni consigli pratici possono essere molto utili per le scelte quotidiane. «Ci sono due atteggiamenti opposti – suggerisce Di Deo – che vanno senz’altro evitati: da una parte, demonizzare alcuni cibi considerandoli “dannosi” e da evitare e, dall’altra, premiare bambine e bambini concedendo loro un certo cibo, per esempio un dolce.

Sia la stigmatizzazione di un cibo sia l’attribuzione a un alimento di un valore positivo tale da farne un “premio” contribuiscono a una percezione distorta. Nel primo caso si dà l’idea che esistano cibi “sbagliati” di per sé, mentre il messaggio corretto da trasmettere è che esistono cibi da mangiare con maggiore o minore frequenza. Nell’altro caso si comunica indirettamente il minor valore, in termini di piacere relativo all’atto dell’alimentazione, del cibo percepito come più salutare (per esempio la verdura), perché si attribuisce solo al cibo ipercalorico il valore di premio».

Sperimentare per educare il gusto

Un rapporto sereno con il cibo si costruisce anche educando al gusto e alla sperimentazione curiosa. Aggiunge l’esperto: «La diffidenza mostrata naturalmente verso certi alimenti, per esempio, può essere progressivamente superata proponendo assaggi diversi e facendo sperimentare nuovi modi di preparare il cibo, che possono creare sapori differenti e più graditi. Far accostare bambine e bambini alla preparazione delle pietanze, inoltre, potrebbe essere una strada per migliorare il loro rapporto con gli alimenti “difficili”».

Alcuni studi si sono, inoltre, focalizzati sull’effetto che attività come la cura di un orto hanno per l’acquisizione di buone abitudini alimentari [1] e, in generale, per il miglioramento della salute dei bambini [2] , mettendo in evidenza soprattutto concreti risultati positivi sull’alimentazione.

Convivialità e concentrazione

Fondamentale anche l’attenzione all’aspetto sociale, affettivo e psicologico del momento del pasto: «Non dimentichiamo – sottolinea Di Deo – l’importanza di far vivere i pasti come momenti di convivialità. Se i tanti impegni della vita quotidiana non lo consentono sempre, è comunque bene che ciò avvenga il più spesso possibile, affinché l’atto di mangiare si carichi di significati positivi e di socialità (ricordiamo che molti disturbi alimentari sono proprio caratterizzati dalla dimensione della solitudine).

Anche la concentrazione è importante, vale a dire gustare il momento, ponendo attenzione al cibo e alle persone con le quali lo consumiamo. Non dimentichiamo, infatti, che il senso di sazietà proviene dalla percezione degli stimoli sensoriali, e la distrazione e la fretta possono favorire gli eccessi alimentari. Mangiare lentamente e con più consapevolezza aiuta a mangiare in quantità adeguata. La “cura” riservata al momento del pasto fin dall’infanzia rivelerà la sua importanza nel corso di tutta la vita».

Il ruolo dei professionisti sanitari

Un ruolo di primo piano è ricoperto dai professionisti sanitari: «Le figure sanitarie che si occupano di bambini e ragazzi e ne seguono l’alimentazione e lo sviluppo psicofisico – pediatri e nutrizionisti, per esempio – sanno che il loro compito va ben oltre la mera valutazione di parametri fisiologici o la misurazione attraverso le curve di crescita. Non bisogna mai dimenticare che oltre al dato bisogna valutare la sensibilità di chi si ha di fronte, costruendo anche in questo caso un ambiente sano, positivo e non colpevolizzante o stigmatizzante, per non vanificare ciò che si sta facendo», conclude Di Deo.

Articolo pubblicato il 30/06/2021 e aggiornato il 09/07/202 sul sito www.uppa.it

Scritto da Anna Rita Longo

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