Con Igiaba Scego, scrittrice, pedagogista e ricercatrice, discutiamo di come affrontare il tema del razzismo e delle discriminazioni fin dall’infanzia
Costruire una società basata sul rispetto verso tutte le persone e tutte le comunità e sulla convivenza delle differenze, dove non ci sia posto per discriminazione e pregiudizio, è uno tra gli obiettivi più importanti dell’educazione. Come perseguirlo? In particolar modo, come affrontare il problema del razzismo, ancora tragicamente presente nella società, con bambine e bambini, ragazze e ragazzi? Da che cosa partire?
Per rispondere a queste domande abbiamo chiesto l’autorevole parere di Igiaba Scego, famosa scrittrice, pedagogista e ricercatrice, molto impegnata nel dibattito pubblico sul dialogo tra culture, diritti, transculturalità, lotta contro i pregiudizi e temi correlati.
Partire dall’esperienza
«Per affrontare il tema del razzismo con ragazze e ragazzi, in classe o negli altri contesti educativi, – ci ha detto – partirei senz’altro dalla loro esperienza concreta. Oggi, per esempio, i ragazzi vivono in contesti transculturali, ma, anche a prescindere da questo, in un gruppo di persone si troverà sempre chi è stato testimone o vittima di discriminazioni di vario tipo».
L’esperienza concreta consentirà, poi, di passare alla riflessione teorica, che, così facendo, non apparirà come qualcosa di astratto. Aggiunge Scego: «Dopo aver raccolto queste esperienze, cercherei di farne il punto di partenza per inquadrare il discorso dal punto di vista teorico, provando a spiegare che cos’è il razzismo, come nasce e si sviluppa; poi che cos’è il colonialismo, affrontando quelli che si possono considerare i concetti basilari e fondamentali del tema. Partire dal vissuto è importantissimo per comprendere davvero. Avviene la stessa cosa quando si affronta il discorso del femminismo: per capire sul serio i danni del patriarcato e i suoi strascichi nella società, l’esperienza personale è molto utile, perché consente di contestualizzare e rendere tutto più concreto».
Riflessioni quotidiane
Alle attività condotte nei contesti educativi più formali, come la scuola, è importante affiancare il dialogo quotidiano tra le mura domestiche. Sottolinea l’esperta: «Il ruolo delle figure di riferimento, come educatori e genitori, è fondamentale. I genitori, che vivono a stretto contatto e nella quotidianità con i figli, hanno tante possibilità per affrontare con loro discorsi formativi in tal senso. Per esempio, possono far notare alle figlie e ai figli l’uso sbagliato o denigratorio del linguaggio, che rafforza i pregiudizi invece di decostruirli. Possono prendere spunto dall’uso scorretto delle parole in TV, far notare come spesso vi sia una mancata rappresentazione di alcune categorie di persone, fare dei paragoni tra i media italiani ed esteri… Le possibilità sono moltissime».
L’importanza delle storie
Da sempre gli esseri umani si scambiano insegnamenti e riflessioni servendosi, come punto di partenza, di storie. Si tratta di una strategia molto efficace. «Per esempio, – aggiunge Igiaba Scego – io e l’attrice Ester Elisha, nel nostro podcast Tell me Mama, abbiamo scelto di raccontare una serie di storie di empowerment femminile che hanno come protagoniste donne afrodiscendenti contemporanee. Le storie hanno un grandissimo potenziale e riescono a trasmettere contenuti in modo semplice e forte. Anche con bambini e ragazzi si potrebbe partire dalla storia di un personaggio famoso, un cantante o un attore noto al figlio (per esempio, un personaggio come Beyoncé), e usarla come spunto per parlare di discriminazioni e del loro superamento. Il mondo del “pop” può essere estremamente utile allo scopo»
Una narrazione diversa a scuola
Anche a scuola è necessario che gli insegnanti comincino a ripensare il modo di affrontare determinati argomenti. Sottolinea, infatti, l’esperta: «Un insegnante, nell’affrontare il programma scolastico, dovrebbe far notare “crepe”, imprecisioni ed errori nella narrazione scolastica tradizionale di episodi storici, per esempio la cosiddetta “scoperta” dell’America, che andrebbe, semmai, chiamata “conquista” o “invasione”, con tutte le conseguenti terribili violenze e lo sterminio della popolazione indigena, evitando l’esposizione celebrativa e favolistica che ancora spesso si propone. Si potrà, poi, allargare il discorso a temi collegati, come la tratta atlantica e altro, invitando a riflettere e approfondire. In generale, proporre un approccio diverso da quello tradizionale alla storia e alla geografia rappresenta una tappa fondamentale».
L’approccio intersezionale
Dal momento che spesso le forme di discriminazione che opprimono diverse categorie di persone si sovrappongono le une alle altre, è importante affrontare il discorso in modo intersezionale, cioè tenendo conto di questi intrecci e sovrapposizioni e agendo simultaneamente su tutte le manifestazioni dei pregiudizi.
Continua Igiaba Scego: «Credo che un approccio intersezionale sia fondamentale quando si affronta il discorso del razzismo e dei pregiudizi che a esso si affiancano. Può, infatti, accadere – anzi accade spessissimo – di essere discriminati sia per il colore della propria pelle, sia per il fatto di essere donna, sia per la classe sociale cui si appartiene o per il proprio orientamento sessuale e così via. Le identità multiple e complesse di tutte le persone fanno sì che spesso una stessa persona venga discriminata per ragioni diverse. L’intersezionalità è, quindi, l’approccio più corretto e produttivo.
Accanto alla storia di Paesi come gli Stati Uniti, anche quella di altri stati, come il Brasile, può rappresentare un esempio molto illuminante e può consentire di far comprendere a ragazze e ragazzi la complessità delle varie realtà». Il tutto senza dimenticare l’importanza della riflessione sulle parole: «Per esempio, – consiglia l’esperta – si può affrontare il discorso dell’uso improprio di termini come “razza” con riferimento agli esseri umani e la storia tragica che questa parola si porta dietro».
Quali attività?
Quali esperienze è possibile progettare in un percorso educativo su questi temi? «Le attività che si possono proporre – aggiunge Scego – sono molte: si può partire dalla lettura di un libro per ragionarci su, oppure anche uscire per strada per individuare le tracce del passato coloniale italiano sul quale si riflette ancora poco (è quello che io ho cercato di fare con il mio libro Roma negata [1] ), facendo riflettere le nuove generazioni sul fatto che l’Italia non è stata affatto estranea a queste dinamiche e alle tante violenze che ne sono tragicamente scaturite. Monumenti, nomi di vie, tracce varie che gli spazi urbani conservano diventeranno utilissimi punti di partenza.
Ma anche l’arte offre spunti importanti: si può affrontare il discorso della presenza di persone afrodiscendenti nell’arte, per esempio del Rinascimento e del Barocco, per far riflettere sulla mancata rappresentazione della storia di alcune categorie di persone. Per dare un altro spunto, nel racconto Prestami le ali [2] io ho scelto di narrare la storia vera di un rinoceronte di nome Clara, portato in Europa dall’India a metà del XVIII secolo e rappresentato in un quadro di Pietro Longhi che si trova a Venezia.
La storia di Clara mi ha consentito di affrontare diversi temi tra cui razzismo, colonialismo e schiavitù, anche attraverso il personaggio di una bambina ebrea e di un bambino africano condotto in schiavitù a Venezia. Un discorso analogo può essere svolto relativamente a persone di diversa origine e alle discriminazioni di cui sono vittime. In generale, tutte le materie scolastiche possono fornire spunti di discussione molto utili alla riflessione».
Il potenziale della lettura
Soprattutto non bisogna mai trascurare l’enorme potenziale della lettura, per la sua capacità di smuovere le coscienze, di indurre a porsi delle domande. «La letteratura – afferma Igiaba Scego – è un ottimo strumento per leggere e interpretare la realtà. Gli educatori possono proporre a ragazze e ragazzi letteratura non eurocentrica, per consentire loro di aprire i propri orizzonti e la propria mente. Anche incontri con personaggi popolari e noti ai ragazzi e alle ragazze possono essere importanti: penso, per esempio, ai libri del rapper Amir Issaa, vicini ai giovani per il linguaggio adoperato, utili a comprendere l’impatto delle discriminazioni, che l’autore ha vissuto in prima persona, ma interessanti anche relativamente al tema dell’empowerment. Un incontro organizzato a scuola con un testimone di questo tipo può lasciare un segno profondo».
Articolo pubblicato sul sito www.uppa.it il 23.06.2021
Scritto da Anna Rita Longo